Importante successo dell’Avv. Giuseppe Pompeo Pinto, che ha difeso dinanzi la Suprema Corte di Cassazione un lavoratore licenziato dalla Società NATUZZI SpA, società leader nella produzioni di divani e poltrone. Nel caso in esame, la Corte di Appello di Bari aveva confermato la legittimità del licenziamento, sostenendo che il lavoratore aveva subito tre sanzioni disciplinari e questo era sufficiente per ritenere valido il licenziamento, come previsto nella contrattazione colletiva di settore. Con il ricorso per Cassazione, l’Avv. Pinto ha censurato la sentenza in relazione alla violazione del principio di congruità e proporzionalità del licenziamento rispetto alle sanzioni irrogate; il licenziamento non può essere irrogato automaticamente - in presenza di tre sanzioni disciplinari - solo perchè previsto nella contrattazione collettiva, infatti è necessaria una valutazione ponderata del Giudice di merito circa la proporzione della sanzione espulsiva rispetto ai fatti addebitati. La Corte dei Cassazione, con sentenza n. 15566 del 10 giugno 2019 ha accolto il ricorso proposto dal dipendente patrocinato e difeso dall’Avv. Giuseppe Pompeo Pinto, pronunciando il seguente importante principio: " In via di premessa, occorre rimarcare che deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato (vedi in motivazione. Cass. 1/12/2016 n24574, Cass. 23/8/2016 n.17259, Cort, Costit. n. 971/1988, n. 239/1996, n.286/1999).
La proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi è, infatti, regola valida per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative) e risulta trasfusa per l’illecito disciplinare nell’art. 2106 c.c., con conseguente possibilità per il giudice di annullamento della sanzione "eccessiva", proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo, in definitiva, possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari,
Nello stesso senso, gli artt.3 della legge 15 luglio 1966 n, 604, 2119 primo comma c.c. e 7 legge 20 maggio 1970 n.300, costituenti norme inderogabili in favore del lavoratore, estendendo i principi di garanzia penalistici stabiliti per l’incolpato, prevedono in favore del lavoratore nei cui confronti debba essere applicata una sanzione disciplinarequeste, la più grave, il licenziamento - il principio della proporzionalità della sanzione alla infrazione commessa (la cui gravità deve essere valutata, in relazione all’elemento soggettivo e all’elemento oggettivo della condotta) e quello della difesa, inteso come possibilità assicurata al lavoratore di difendersi dagli addebiti prima che gli venga applicata la sanzione disciplinare conservativa o espulsiva.
Nell’ottica descritta si è quindi affermato, come già fatto cenno, che la contrattazione collettiva è nulla e, perciò, inapplicabile per contrasto con norme imperative dello Stato tutte le volte in cui essa preveda una ipotesi automatica di sanzione disciplinare conservativa o espulsiva che prescinda dalla valutazione della sua proporzionalità rispetto alla infrazione commessa dal lavoratore sia sotto il profilo soggettivo e sia sotto quello oggettivo. (v.Cass. 27/09/2002 n.14041, Cass. 25/11/1996 n.10441).
Muovendo da tali condivisibili approdi, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di osservare che la previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva in successive mancanze disciplinari, come ipotesi di licenziamento, non esclude il potere del giudice di valutare la gravità in concreto dei singoli fatti addebitati, ancorché connotati dalla recidiva, ai fini dell’accertamento della proporzionalità della sanzione espulsiva, quale naturale conseguenza del sistema normativa approntato in tema• di procedimento disciplinare cui si è innanzi fatto richiamo (vedi ex aliis, Cass. 18/12/2014 n.26741, Cass. cit n.14041/2002).
3. Orbene, nello specifico la Corte di merito, scrutinando la doglianza formulata al riguardo dal lavoratore, ha decisamente escluso che la contestazione disciplinare della recidiva fosse compatibile con alcun ragionamento in tema di "gradualità di sanzioni comminate per ,la stesso errore nella lavorazione delle pelli", così incorrendo nella denunciata violazione di legge; le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata in relazione alla delibata questione, si pongono infatti in’palese contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità secondo i richiamati ditta, così giustificando, in parte qua, la riforma della pronuncia impugnata".
La Corte di Cassazione ha quindi annullato la sentenza della Corte di Appello di Bari sezione lavoro, che aveva confermato il licenziamento del lavoratore, rinviando alla Corte di Appello di Bari, per riesaminare la situazione alla luce del principio di diritto enuncleato nella medesima sentenza.
L’Avv. Giuseppe Pompeo Pinto, Cassazionista in Roma, tutela la clientela in materia di lavoro e licenziamento dinanzi le varie Autorità, quindi anche in Tribunale, Corte di Appello ( nelle varie sedi italiane) e Corte di Cassazione ( Roma).
Scarica la sentenza della Cassazione n. 15566 del 10.06.2019