La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile del 9 gennaio 2018, n. 278 riapre la discussione su un incidente mortale sul lavoro, ove morì un
assistente tecnico dipendente del Genio Civile delle Opere marittime di Ancona, avvenuta nel corso di verifiche tecniche presso un edificio demaniale. Nell’occasione, la Corte d’Appello di L’Aquila aveva riformato la prima sentenza, negando la responsabilità del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La Corte di Cassazione, valuta la sentenza carente e contraddittoria, in quanto
"l’iter logico argomentativo della sentenza e’ viziato da contraddittorieta’, tale da non consentire l’esatta individuazione della ratio decidendi".
Quindi la Corte richiama i doveri del datore di lavoro ( in questo caso il Ministero) statuendo che " La concezione di sicurezza sul lavoro, che emerge dalla decisione della Corte territoriale, infatti, non trova riscontro nella costruzione normativa di un preciso obbligo contrattuale posto a carico del datore, rafforzato dalla sua natura "bifronte", da un lato verso lo Stato, per la realizzazione del diritto costituzionale alla salute del cittadino (articolo 32), dall’altro verso i singoli lavoratori. Tale obbligo onera in concreto, il datore di lavoro di una complessa attivita’ che va dalla responsabilita’ dell’organizzazione dei processi lavorativi, della scelta, dell’acquisto delle dotazioni di lavoro e della loro distribuzione al personale, fino a quella della formazione dello stesso personale sulla materia della prevenzione degli infortuni".
Analizzando il materiale probatorio acquisito agli atti, la Cassazione fa presente che " La sentenza gravata e’ dunque viziata perche’ contraddittoria nella motivazione e inconcludente nell’accertamento della responsabilita’ dell’amministrazione".
Ed ancora: "
Secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte "La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita’, non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo dell’omissione, insufficienza, contraddittorieta’ della medesima, puo’ legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice del merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione" (Cass. n. 19547/2017).
La sentenza della Corte di Appello è stata cassata con rinvio degli atti alla Corte di Appello in diversa composizione ( nella fattispecie, in diversa sede).